Interferenza #10 – La tua ignoranza non vale quanto la mia cultura.
«Non tutto ciò che si dice può avere lo stesso peso.»
Negli ultimi giorni, tre contesti diversi. Tre frasi differenti. Una stessa frizione.
Una riunione che mette in discussione alcuni approcci. I dati non sono pronti. Qualcuno propone cautela per esperienza e conoscenza della dinamica.
Se non lo dimostri con i numeri, decido io. Sono il capo.
Sotto ad un post social in cui si discute di alcuni effetti sul cambiamento climatico.
Tanto è tutto un business, io ho letto che è una bufala.
Uno dei miei figli, dopo una nostra discussione su alcuni comportamenti, replica:
Sì, vabbè, ma ai tuoi tempi era diverso. Adesso fidati di me, funziona così.
Tre momenti diversi. Stesse dinamiche.
Cresce sempre di più l’idea, spesso sottotraccia, che ogni punto di vista debba avere lo stesso peso.
Che poter dire qualcosa equivalga a dirlo con fondamento.
Che esprimersi siamo sufficiente, senza preoccuparsi della solidità di ciò che si esprime.
Abbiamo sviluppato una possibilità, in questi ultimi anni, in cui ogni cosa può essere detta, pubblicata e condivisa.
Ma questo non significa che tutto debba però poter avere lo stesso valore.
Non tutte le opinioni pesano allo stesso modo.
Non tutte le voci meritano lo stesso ascolto.
E no: la tua ignoranza non vale quanto la mia cultura.
Non è arroganza. Non è elitismo.
È rispetto per la fatica. È attenzione alla complessità. È senso del limite.
Cultura non è accumulo di informazioni.
È saper mettere in relazione. Contestualizzare. Mettere in discussione.
È reggere il dubbio. È sapere quando tacere. È saper dire “hai ragione” o “ho sbagliato”.
È non confondere la sicurezza con la competenza.
La cultura non ti dà risposte facili. Ti allena a non accontentarti della prima.
E soprattutto, ti insegna a distinguere tra ciò che pensi e ciò che sai.
L’ignoranza oggi non è mancanza di accesso. È rifiuto della complessità.
L’ignoranza contemporanea ha a che fare con la scorciatoia.
Con il non voler fare il giro lungo.
Con il bisogno compulsivo di dire la propria prima di ascoltare quella altrui.
Ignoranza non è non sapere.
È non voler sapere di più.
E nel lavoro, succede spesso:
Le decisioni vengono prese per gerarchia, non per argomentazione.
I progetti vengono discussi con la logica del “secondo me”.
Chi studia viene percepito come complicato. Chi banalizza, come efficace.
Anche nella vita di tutti i giorni:
Articoli condivisi senza leggerli.
Frasi ripetute perché lette in un meme o su un social.
Commenti sparati come sentenze, senza una domanda a monte.
Forse dovremmo recuperare un concetto semplice, ma scomodo:
La cultura è un gesto di responsabilità.
Non serve a dominare. Serve a costruire.
Serve a pensare meglio, insieme.
Io la vedo così: puoi non sapere, e va bene.
Puoi sbagliare, ed è normale.
Puoi avere un’opinione diversa, ed è sano.
Ma se ti rifiuti di approfondire, di cambiare idea, di misurare le parole in base al contesto, allora no: non siamo allo stesso livello.
E in un mondo in cui tutto si può dire, allora scegliere cosa vale la pena ascoltare è diventato un atto critico.
Quasi rivoluzionario.
Il diritto a dire non è il diritto ad avere ragione
“La cultura non è supremazia. È responsabilità.”
soprattutto in funzione al voto. L'uno vale uno ha fallito miseramente. La soluzione è l'istituzione della "patente di voto", speriamo che l'epistocrazia arrivi presto.
"Sì, vabbè, ma ai tuoi tempi era diverso. Adesso fidati di me, funziona così." ... uniti nella sorte adolescenziale