Interferenza #13 – Non è luce, è riflesso
«Se per brillare devi spegnere gli altri, stai davvero brillando?»
Alcuni parlano per emergere.
Altri zittiscono per dominare.
In certe dinamiche professionali, e non solo, il potere si misura ancora sulla capacità di mettere l’altro all’angolo.
Non è una questione di contenuti, di qualità, di visione.
È uno sport mentale antico: screditare per brillare, interrompere per imporsi, ironizzare per ridicolizzare.
A volte è una battuta in una riunione.
Altre, un’email tagliente quanto ambigua.
Spesso arriva travestita da feedback, ma è puro esercizio di ego.
Perché l’obiettivo non è costruire, ma segnare il territorio.
E così capita: un collega smette di parlare in riunione.
Un team si ritira in silenzio.
Un'idea non viene più proposta.
Un figlio si allontana.
Una relazione si affievolisce.
E chi resta, crede di brillare. Ma sta solo riflettendo il vuoto che ha creato intorno.
C'è un momento in cui il confronto smette di essere confronto e diventa scena.
Dove la conversazione non serve più a esplorare, ma a dominare.
Dove non si costruisce, si conquista.
La verità è che molti si sentono legittimati solo quando annullano l’altro.
Non tollerano zone grigie, non accettano che un’idea diversa possa avere valore.
E allora alzano il volume, alzano il tono, alzano muri, trasformano il campo di gioco in campo di guerra. Senza dichiararlo.
Fino a quando gli altri smettono di parlare.
Fino a quando nessuno prova più a portare un’idea.
A quel punto restano solo loro.
A parlare, a decidere, a brillare.
Ma non è luce quella: è riflesso.
È il vuoto che rimbalza su uno specchio levigato dall’ego.
È il rumore di fondo di chi non ha più interlocutori, solo spettatori silenziosi.
Prendere le distanze da questa dinamica non è facile.
Soprattutto quando sei dentro.
Quando senti che il tuo silenzio non è ascolto, ma censura.
Quando ti accorgi che certi toni non servono a chiarire, ma a vincere.
Riconoscerla è il primo passo.
Il secondo è scegliere da che parte stare.
Non contro qualcuno, ma a favore di uno spazio dove la voce degli altri non sia una minaccia, ma un'occasione.
Dove il valore non si misura con l'ultima parola, ma con la prima che fa pensare.
“Il potere che spegne non dura. Quello che accende, trasforma.”