Interferenza #5 – Tra la virgola ed il punto
«Non sempre serve un nuovo inizio. A volte serve solo continuare meglio.»
Qualche settimana fa ho riaperto un file che avevo messo da parte. Era un’idea su cui avevo lavorato per mesi, e che poi avevo archiviato. Non perché fosse sbagliata, ma perché non mi convinceva più del tutto.
In un altro momento l’avrei chiusa con un punto. Invece l’ho riletta, ci ho girato intorno, l’ho osservata da un’altra distanza.
E ho capito che non era da buttare: era da rifinire.
Da portare avanti, ma con un’altra intenzione.
È lì, in quel momento, il punto e virgola mi è venuto in mente.
Un segno che oggi si usa poco. Ma che contiene una potenza progettuale rarissima:
Sospendere senza chiudere, continuare senza forzare, approfondire senza stravolgere.
Siamo cresciuti in una cultura che ci dice che bisogna andare avanti.
Tagliare, voltare pagina, “mettere un punto”. Oppure, al contrario, non fermarsi mai: virgole su virgole, correre a oltranza, galleggiare senza mai rileggere.
Il punto e virgola, invece, è una forma di pausa consapevole.
Un momento che dice: non ho finito; voglio capire meglio cosa c’è ancora da dire.
Non è esitazione.
È una decisione di dare continuità senza ostinazione.
Un atto editoriale, ma anche mentale. E strategico.
Nel lavoro succede spesso: progetti portati avanti per inerzia, oppure chiusi di colpo per frustrazione. Ma quanti di quei progetti avevano solo bisogno di essere riletti con uno sguardo più ampio?
Quanti di quei rapporti professionali chiusi bruscamente avrebbero potuto diventare altro, se solo ci fosse stato spazio per dire:
“Aspetta. Non fermiamoci qui. Rimettiamoci le mani.”
Viviamo in un’epoca che idolatra l’apparire, la performance, l’efficienza narrativa.
Ma la vita reale non è una sequenza di frasi perfette. È piena di cose in bilico.
Di discorsi che non tornano subito. Di gesti da riscrivere.
E proprio lì, nel non definito, nel non chiuso, nel quasi, si gioca la profondità.
Il punto e virgola è una forma di leadership.
Non quella che accelera, ma quella che tiene aperto uno spazio anche quando il mondo vorrebbe già passare oltre.
È il gesto di chi dice:
“Non chiudo. Proseguo. Ma prima, riguardo bene.”
Ho capito che ci sono idee che non vanno superate, ma curate.
Relazioni che non vanno spezzate, ma riformulate.
Percorsi che non vanno rifatti da zero, ma continuati con un’altra postura. Si, postura, perché quella cambia totalmente come sei percepito e come ti percepisci.
E che non serve sempre qualcosa di nuovo. Non è un vestito, non è un titolo, non una cosa in più. Serve fare nuovo ciò che già c’è.
Che è molto più faticoso, ma anche più onesto. E spesso più necessario.
In fondo è questo: un gesto di manutenzione del senso.
Prendersi cura di ciò che esiste già, ma ha bisogno di essere riletto, riattivato, riaccordato con ciò che siamo oggi.
E se lo senti, va fatto: riprendi qualcosa che stavi per chiudere. Una frase lasciata a metà, un progetto accantonato, una conversazione interrotta.
E chiediti:
“C’è qualcosa qui che merita un punto e virgola?”
Perché non tutto deve finire o continuare per forza.
Alcune cose devono solo respirare.
E poi, ripartire con un tono diverso.
“Nel mezzo del cammin, chi ha coraggio non per forza cambia strada.
Fa silenzio. E riscrive da lì”