Interferenza #9 – L’educazione invisibile.
«Non tutto ciò che ci ha formati era in programma.»
Qualche ora fa, al rientro dell’ultimo giorno di scuola, al primo anno di media e liceo, ho chiesto ai miei figli come fosse andata questa ultima giornata e ho chiesto con leggerezza
«Che cosa vi mancherà di questo primo anno?»
Chiara ha risposto quasi immediatamente “le amiche di classe. Quelle con cui ho un legame forte, proprio vicino”, e Mattia ha aggiunto subito dopo “la compagnia della classe. Stare insieme”.
Mi aspettavo altro: un evento, un rituale di classe, una materia o magari un episodio particolare. E invece, la risposta è stata tutta in una dimensione relazionale. Non didattica.
Ho sentito un piccolo cortocircuito, uno scatenarsi di emozioni vissute.
Perché quelle relazioni, quelle dinamiche vissute, non erano in programma.
Momenti casuali, che probabilmente hanno lasciato qualcosa, da cui impara.
E che resta.
Siamo abituati a misurare l’educazione ed i percorsi fatti in competenze, step, obiettivi. A monitorare il rendimento, valutare i contenuti, testare le abilità.
Ma se ci pensiamo davvero, gran parte di ciò che ci ha formati, nel profondo, non è mai stato scritto in un piano didattico.
Non era il contenuto del PowerPoint, ma il modo in cui un’insegnante ci ha detto “ce la fai”.
Non era la formula matematica, ma il compagno di banco che ci ha spiegato meglio come affrontare una cosa che non capivamo.
Non era la lezione di storia, ma il modo in cui un professore o genitore ha gestito un nostro errore senza umiliarci.
Non erano solo le lezioni, ma anche le discussioni in classe, le dinamiche tra compagni, gli sguardi tra chi si sceglie e chi no.
L’educazione invisibile è quella che accade mentre succede altro.
È nei gesti laterali, nei toni di voce, negli sguardi. È nel modo in cui un contesto ci fa sentire autorizzati a essere curiosi, fragili, imperfetti. È nel modo in cui impariamo a stare in relazione, a leggere un conflitto, a capire quando siamo visti e quando no.
Questa forma di educazione continua anche da adulti.
Sul lavoro impariamo moltissimo nei momenti in cui nessuno sta formalmente insegnando:
da come un capo gestisce un conflitto,
da come un collega si assume la colpa per proteggere il gruppo,
dal silenzio con cui si accolgono (o si evitano) certe idee,
dai progetti sfidanti condivisi sotto scadenza,
dalle serate in cui ci si ferma tardi per consegnare qualcosa insieme,
dagli imprevisti, dalla complessità che si attraversa, non solo si risolve.
Le aziende parlano molto di formazione.
Ma i valori, quelli veri, passano nei margini:
quando qualcuno resta un attimo in più,
quando una parola viene detta nel momento giusto,
quando un gesto smentisce una policy o un processo, ma mostra una anima oltre la regola. E quell’anima mostrata insegna.
L’educazione invisibile, però, rischia di dissolversi.
Perché richiede vicinanza, ascolto, contatto.
E nelle aziende, oggi più che mai, questi elementi vengono erosi dalla distanza, dall’efficienza, dalla mancanza di cultura della community.
Si perde la dimensione relazionale.
Si affievolisce la capacità di osservare l’altro.
Si smarrisce la centralità della persona.
Eppure, è proprio quella dimensione non misurata che forma davvero. O disforma.
Sono fiero del percorso che i miei figli hanno fatto quest’anno.
Hanno studiato, affrontato impegni, combinato sport, orari, relazioni e cambiamenti. Son passati da piccoli grandi successi, ad imprevisti e goal non raggiunti. Ma li hanno affrontati con consapevolezza.
E ora, è giusto che si fermino.
Che si prendano tempo.
Che lascino spazio alla crescita che accade nel vuoto, nel gioco, nell’interruzione.
L’estate è una pausa che sembra solo tempo libero.
In realtà è un tempo diverso. Più largo. In cui la crescita cambia forma.
E il riposo è meritato davvero, quando arriva con la consapevolezza di averci messo impegno. E presenza.
Forse dovremmo ricordarcelo più spesso, anche da adulti: possiamo progettare tutto, ma l’educazione (o la diseducazione) più profonda accade comunque.
E se ne accorgono soprattutto gli occhi che nessuno guarda.
Buona pausa.
“Non tutto ciò che ci ha formati era in programma.”